Le tre edizioni
della «Scienza nuova»

di Manuela Sanna
Direttore dell’ISPF – CNR

Raccolte in sequenza in un solo volume le diverse stesure del capolavoro di Giambattista Vico: un’operazione editoriale che ha origine da venti anni di studi in cui il lavoro critico e filologico si lega strettamente all’interpretazione filosofica

Il volume La scienza nuova. Le tre edizioni del 1725, 1730 e 1744 di Giambattista Vico, a cura di Manuela Sanna e Vincenzo Vitiello, Bompiani, 2012, è stato presentato il 15 febbraio 2013 a Napoli, presso la sede dell'Istituto Italiano di Scienze Umane (SUM) (Palazzo Cavalcanti, in Via Toledo 348), su iniziativa dell’Istituto per la Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico Moderno del Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISPF – CNR).
È di recente uscito in libreria il volume che raccoglie La scienza nuova. Le tre edizioni del 1725, 1730 e 1744 di Giambattista Vico, curato da Manuela Sanna e Vincenzo Vitiello per Bompiani, che fa tesoro di un’ imponente edizione di qualche anno fa curata da Manuela Sanna e Fulvio Tessitore per il Poligrafico dello Stato (2000). Questo volume, prezioso ma assai poco diffuso, metteva insieme per la prima volta tutte e tre le stesure del capolavoro vichiano. E in più si avvaleva dei progressi derivati dall’avanzamento dei lavori di edizione critica ai quali l’Istituto per la Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico Moderno del Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISPF – CNR) si dedica fin dalla sua nascita, dalla pubblicazione della Scienza nuova del 1730 (2000) e dall’ormai pronta versione del 1744 (2013).

Si può dire che mai come in questo periodo l’edizione critica pare far convergere fortemente attorno a sé il nucleo dei temi teorici su Vico. Seminari, materiali preparatori all’edizione, pubblicazioni di note e notarelle su tradizioni diverse di porzioni di testo, di parole, di accertamento di fonti, di reperimento di esemplari nuovi e particolarmente suggestivi hanno caratterizzato nell’arco di un ventennio il periodo precedente all’uscita del volume. E hanno acceso il dibattito su temi e problemi legati non solo all’aspetto filologico dell’operazione editoriale, ma forse ancor di più a quello filosofico.

Frontespizio della seconda edizione della «Scienza nuova», Napoli 1730, Felice Mosca
La scelta nasce dall’individuazione nella Scienza nuova in edizione 1730 come punto di partenza e non come fugace momento di passaggio; vale a dire in un’opera che fino a questo momento la tradizione aveva di fatto dichiarato inesistente. Questa operazione lega strettamente il  lavoro di un’edizione critica al tema dell’interpretazione: trovarsi di fronte a un’opera di fatto mai pubblicata ma fortemente schiacciata da un modello interpretativo di riferimento ha reso necessario, come sempre e forse più che mai in questo caso, che l’editore ricostruisse il testo in maniera imprescindibile dalla interpretazione che se n’era data. Quel connubio interno filosofia-filologia, emendatio-interpretatio che a Vico sarebbe tanto piaciuto.

Se l’edizione doveva partire dal recupero integrale della versione del 1730 e considerare questo il momento iniziale dell’evoluzione del testo – come era stato fin da subito l’obiettivo che Pietro Piovani e Fulvio Tessitore e poi Giuseppe Cacciatore avevano determinato per l’edizione – allora bisognava attribuire anche significato e complessità alla fase del lavoro vichiano che va dal 1725 al 1730, piuttosto che concentrare interesse esclusivo per la fase della quale possediamo più documenti, quella cioè dopo il 1730, e insieme non pensare alla redazione del 1744 come l’unica vera meta verso la quale si protendono tutte le “redazioni”. 
L’opera del ’30 è frutto di ridondanze e insieme di contrazioni, a volte spiccatamente significative e a volte apparentemente inspiegabili; la Scienza nuova di Giambattista Vico nelle sue varie forme redazionali fu definita da uno dei più fini filologi della pagina vichiana, una suggestiva «fabbrica», nella quale molti pezzi sono mancanti e molti variamente collocati. Mancanti sono certo i manoscritti delle stampe del 1725 e del 1730, uniti alla grave mancanza del manoscritto stilato dall’autore a illustrazione e interpretazione della Scienza nuova del 1725 in vista di quell’edizione veneziana che non si fece mai. Edizione che avrebbe potuto spiegare molte cose sul passaggio dal ’25 al ’30.
Così come molte cose di questi passaggi ci vengono detti in maniera molto esplicita dal testo dell’Occasione di meditarsi quest’Opera. Tutto il grosso blocco espositivo che viene soppresso dal ’25 al ’30 ritrova posto in quell’eccezionale documento che è l’Occasione, così come nelle «Correzioni».  I sette consigli finali di questa parte introduttiva riguardano il metodo di lettura che bisogna intraprendere, l’abilità che deve acquisire la mente di chi legge per entrare nello spirito di quest’avventura: l’uso della metafora del «vestito»: la mente deve spogliarsi «d’ogni corpulenza», ma deve vestirsi di un abito del «ragionar geometricamente». Se questa prassi non viene osservata, suggerisce Vico, si rischia quel che rischiano i sordastri, che sentono una o due corde del clavicembalo, e «con dispiacenza», perché non avvertono le altre che producono un’armonia dolce. Avvisi al lettore che sono di prassi necessari in una seconda edizione, soprattutto dopo le critiche cui l’opera era stata sottoposta, ma superflui in quella successiva.
«Dipintura proposta al frontespizio», da «Principi di Scienza Nuova di G.B. Vico: d’intorno alla comune natura delle nazioni», Terza impressione, Napoli 1744, stamperia Muziana
La mancanza di significativi esemplari postillati del ’25, se confrontata con la ricchezza e la varietà del periodo successivo al ’30, finisce per tenere ingiustamente in ombra questi passaggi segnalati da documenti di tipo diverso, ma ugualmente attendibili. Tra “redazioni intermedie” e “strati”  sedimentati su un’“edizione mancata” passa il filo di queste differenze.
Figlio di libraio e vissuto a lungo tra librai e tipografi, Vico capisce bene come il risultato finale può essere di molto migliorato o modificato dalla presenza sul luogo della stampa, molto assidua anche nella successiva stampa del 1744 – come testimonia attualmente la bella ristampa anastatica curata da Marco Veneziani nel 1994, che mette in luce anche i non pochi errori e imperfezioni della stampa dovuti all’intervento diretto dei compositori. Questo è cioè il problema che emerge quando l’autore lavora in sinergia con il tipografo e non interrompe l’avanzamento dei lavori neanche nel corso dell’opera, neanche quando le copie sono già in circolazione.
Anche se questo recentissimo lavoro non costituisce un’edizione di tipo critico, a questa si affianca, in quanto ricorda il monito di Pietro Piovani, che nel 1969 aveva sottolineato con lucidità come il Nicolini editore si prestasse a tener d’occhio più il modificato che il modificarsi, quando invece «in poche altre occasioni come in questa il filologo si identificherebbe con lo storico: lo storico coglierebbe letteralmente – davvero vichianamente – un pensiero nel suo farsi». Forse qui risiede la sostanza di una distanza tra una filologia antiquaria e una storica, come segnalò anni addietro Antonio Garzya. E come cerca di dimostrare anche questo nuovo prodotto editoriale.

26 marzo 2013

Particolare del ritratto di Vico, incisione in rame di Francesco Sesone dal quadro di Francesco Solimena (dalla terza edizione della «Scienza nuova», 1744)

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