Quei geni che hanno cambiato
la nostra visione del mondo

di Francesco M. Cardarelli
Consiglio Nazionale delle Ricerche

Intervista a Jean-Pierre Luminet, astrofisico e Direttore di ricerca del CNRS, autore dei romanzi della serie «I costruttori del cielo»: un viaggio nella scienza da Euclide a Newton, passando per Copernico, Tycho Brahe, Galileo e Keplero

Jean-Pierre Luminet nasce a Parigi nel 1951. Astrofisico, romanziere, poeta, nonché raffinatissimo divulgatore scientifico, è tra i più importanti cosmologi del mondo. Nel 1979 fu tra i primi a studiare gli effetti del passaggio di una stella vicino a un buco nero supermassiccio: effetti che nel 2004, grazie ai satelliti Chandra e Newton, sono stati rivelati al mondo intero, mostrando ciò che Luminet – come ha scritto Piero Bianucci sul quotidiano «La Stampa» – «aveva intravisto con gli occhi della mente e della matematica».

Insieme agli astrofisici Weeks, Riazuelo, Lehoucq e Uzan, nel 1995 Luminet ha ideato un importante modello cosmologico, da lui chiamato «universo stropicciato»; per questo studio la rivista «Nature» gli ha dedicato una copertina nell’ottobre 2003. Luminet è inoltre il celebratissimo compositore di Le chant de pulsar, opera musicale ottenuta attraverso la decifrazione delle radiazioni elettromagnetiche (osservate come impulsi), emesse dalle cosiddette “stelle di neutroni” o pulsar; nel campo delle arti plastiche si è dedicato al disegno, all’incisione e alla scultura. Attualmente lo scienziato collabora con l’Osservatorio di Meudon ed è Direttore di ricerca del CNRS. Nel 2007 ha vinto il Prix europèen de la communication scientifique. Nel 2012 ha inaugurato il Festival delle Scienze di Roma con una lectio magistralis sul concetto di tempo.

Oltre ai romanzi La parrucca di Newton (La Lepre Edizioni, 2011) e L’occhio di Galileo (La Lepre Edizioni, 2012), Luminet ha pubblicato in Italia Finito o infinito? (Raffaello Cortina Editore, 2006), L’invenzione del Big Bang (Dedalo, 2006), La segreta geometria del cosmo (Raffaello Cortina Editore, 2004) e Buchi Neri (Marco Nardi Editore, 1992). La Lepre Edizioni pubblicherà prossimamente l’edizione italiana del suo romanzo Le bâton d’Euclide. Le roman de la Bibliothèque d'Alexandrie con il titolo Il bastone di Euclide. Il romanzo della Biblioteca di Alessandria.

Jean-Pierre Luminet, perché uno scienziato di fama internazionale decide di scrivere una serie di romanzi rivolgendosi al grande pubblico?
«Ci sono tre motivazioni. In primo luogo, per me è stato sempre molto importante divulgare la scienza, sia la scienza che si svolge nei laboratori, sia la storia della scienza. Perché sono convinto che non si conosce bene una disciplina se non se ne conosce la storia, se non si conosce la storia delle idee, in particolare il modo in cui si divulgano le idee attraverso la storia della scienza. Il secondo motivo è che fin da giovane sono stato educato alla letteratura, alla scrittura, inclusa la tecnica di scrivere, tanto che, prima di diventare un ricercatore, ho scritto tre romanzi. La terza motivazione è che mi sono reso conto che, contrariamente ad altri grandi personaggi storici, sia della storia politica ma anche dell’arte o della musica, i grandi scienziati del passato non sono quasi mai stati utilizzati nella finzione, nella letteratura o nel cinema. In realtà, le loro biografie costituiscono delle fonti storiche straordinarie che oltrepassano largamente il quadro della pura storia delle scienze. Da qui l’idea di scrivere dei romanzi, dando carne e sangue a tutti quei grandi personaggi che hanno cambiato la nostra visione del mondo».

La serie dei suoi romanzi porta un titolo suggestivo: «I costruttori del cielo». Chi sono i protagonisti della serie?
«Ho scritto sei romanzi. Seguendo l’ordine cronologico, non quello della scrittura, i romanzi trattano la storia delle idee dall’età della Grecia antica fino all’epoca illuministica e postnewtoniana. La prima opera riguarda la cultura greca e la biblioteca di Alessandria, e parla di scienziati che si chiamavano Euclide, Archimede, Aristarco di Samo e Tolomeo (Le bâton d'Euclide. Le roman de la Bibliothèque d'Alexandrie). Dopo sono passato ai grandi protagonisti della rivoluzione scientifica e astronomica del XVI e XVII secolo: Copernico, l’iniziatore della rivoluzione eliocentrica, con tutti problemi che innescò (Le secret de Copernic); Tycho Brahe, che raccolse le osservazioni astronomiche più precise della sua epoca, di cui però non comprese appieno l'importanza, al contrario del suo giovane assistente Keplero (La discorde céleste. Kepler et le trésor de Tycho Brahé); Keplero, per l'appunto, e Galileo, che avvalorarono la teoria copernicana mettendo definitivamente in crisi l'insegnamento di Aristotele (L'oeil de Galilée); Newton, che coronò la rivoluzione scientifica (La perruque de Newton). L’ultimo romanzo della serie è ambientato al tempo dell’Illuminismo, quando nacquero le accademie e la scienza divenne internazionale (Le rendez-vous de Vénus). Ci furono due grandi avvenimenti all’epoca, il ritorno della cometa di Halley e il passaggio di Venere davanti al Sole, che permisero agli astronomi, grazie alla meccanica celeste di Newton, di far fare un balzo in avanti considerevole alla scienza e di misurare la distanza della Terra dal Sole. Questo è il “filo scientifico”, per così dire: ma per me è altrettanto importante raccontare ogni volta il contesto politico, sociale, filosofico e culturale. Perché il progetto consiste nel cercare di richiamare alla memoria la storia delle idee scientifiche in stretta connessione con l’evoluzione della società, del dibattito filosofico, ideologico, religioso, di collocare cioè la vita e l’opera di questi avventurieri del sapere nel cuore della loro epoca. Il “filo rosso” della serie è costituito dal bastone di Euclide, che dà il titolo al primo romanzo della serie: un bastone cavo che può contenere manoscritti scientifici ed è la metafora della trasmissione del sapere da una generazione all’altra, attraverso i secoli, le guerre e le tragedie che si succedono».

Nell’introduzione al romanzo L’occhio di Galileo – pubblicato in Italia dalle Edizioni La Lepre, che ha in programma di tradurre e pubblicare l’intera serie «I costruttori del cielo» – lei scrive: «La finzione romanzesca […] aiuta a dimostrare l’indissolubile legame tra sapere ed emozione». Può spiegarci meglio questo rapporto?
«Il rapporto tra sapere ed emozione è fondamentale per me. Nella cultura contemporanea c’è la tendenza a creare due universi separati: da una parte, la scienza e la tecnologia, considerate fredde e sotto il dominio della ragione; dall’altra parte, la creazione artistica, letteraria, musicale, dominata dalle emozioni. Questa separazione tra il sapere e le emozioni entra molto presto nella mente dei giovani a scuola, che vengono indotti a considerare le discipline scientifiche alternative a quelle artistiche. Nel momento in cui si decide di scrivere la vita romanzata dei grandi scienziati, bisogna necessariamente preoccuparsi della loro “incarnazione” secondo le regole del genere del romanzo: occorre, cioè, mettere della carne e del sangue nei personaggi per creare emozioni. Altrimenti, si scrivono biografie storiche: ne esistono alcune molto ben documentate, che mi sono state molto utili; ma il progetto di toccare un pubblico più largo con il genere del romanzo costringe a ricercare di emozionare il lettore».

I risultati scientifici sono il frutto di infiniti esperimenti, cioè del «provare e riprovare», come si dice con termini galileiani. Eppure, Keplero e Galileo, i due protagonisti del romanzo L’occhio di Galileo, vengono presentati come due campioni della “immaginazione creativa”. Quale è il ruolo dell’immaginazione nella scienza?
«I più grandi scienziati della storia hanno sempre riconosciuto il ruolo fondamentale dell’immaginazione: fare scienza è soprattutto un atto creativo. Anche quando si usa un apparecchio per fare delle misurazioni, interviene una parte di creatività. Nella teoria, l’immaginazione è anche più importante, perché bisogna praticamente “inventare” quasi tutto. Gli scienziati conoscono la citazione di Einstein, per il quale l’immaginazione è più importante del sapere. Ci sono due tipologie diverse di immaginazione, che sono ben rappresentate da una parte da Galileo e dall'altra da Keplero, due autentici geni. Il primo incarna un’immaginazione creativa di tipo empirico, che utilizza gli strumenti, le misure e il metodo; il secondo un’immaginazione creativa di tutt’altra natura – di tipo teorico, matematico – assolutamente unica. Ci vuole una comunicazione, uno scambio tra queste due tipologie di immaginazione, che si supportano l’una con l’altra. Galileo e Keplero erano contemporanei, ma non hanno mai lavorato insieme e non si sono neppure mai incontrati: eppure, il loro epistolario straordinario ci aiuta a comprendere come il lavoro dell’uno sia stato completato dal lavoro dell’altro. Con gli occhi dell’immaginazione, Keplero – che non era un astronomo, ma un matematico – riuscì a penetrare nei misteri dell’universo, come Galileo – che oggi definiremmo un fisico sperimentale – vi penetrò con il cannocchiale. Senza Galileo, Keplero non avrebbe potuto sperimentare le sue teorie; senza Keplero, le osservazioni di Galileo non avrebbero potuto essere interpretate e ritenute credibili dai contemporanei».

Copernico e Keplero facevano oroscopi e praticavano l’astrologia: ciò a dimostrare che il sapere della scienza non è mai “puro”...
«Nella grande rivoluzione scientifica è difficile distinguere in modo netto il passaggio da una forma di scienza che si nutriva di principi irrazionali e mistici a un’altra forma di scienza puramente razionale: le due forme hanno continuato a coesistere a lungo, seppure con equilibri diversi. Non a caso, i due scienziati più creativi dell'epoca, Keplero e Newton, sono anche quelli nei quali ritroviamo la commistione più forte tra elementi razionali ed elementi irrazionali. Keplero aveva una visione mistica, astrologica, del mondo, che riteneva pervaso da influenze occulte. Newton, poi, era un personaggio davvero stupefacente, che praticava l'alchimia e la teologia: era la dimostrazione vivente di come la scienza possa convivere con l’irrazionalità».
 
I grandi geni del passato erano anche ottimi divulgatori. I loro trattati erano comprensibili non solo dagli scienziati in senso stretto, ma da tutte le persone colte dell’epoca, che discutevano le loro teorie nel corso di riunioni e dibattiti pubblici. A proposito di Keplero, possiamo ricordare che aveva scritto un’opera di divulgazione delle sue teorie, che è uscita postuma, il Somnium, che narra di un immaginario viaggio sulla Luna. Quale è lo stato di salute della divulgazione scientifica?
«La divulgazione ha sempre rivestito un ruolo molto importante. Oggi, rispetto ai secoli passati, la sua forza è diminuita di intensità; un certo declino è iniziato intorno alla metà del XX secolo, proprio per responsabilità degli stessi scienziati, che hanno cominciato a non ritenere più necessario divulgare le loro teorie al pubblico. Negli ultimi venti-trenta anni si è comunque sviluppata una divulgazione di ottimo livello, soprattutto nei Paesi anglosassoni, ma anche in Francia, grazie ai diversi mezzi di comunicazione: libri e articoli, scritti da giornalisti o dagli stessi scienziati, film, documentari e programmi radio-televisivi. In questi Paesi le conferenze e gli incontri scientifici sono frequentati da un pubblico numeroso molto interessato alla divulgazione; lo stesso fenomeno esiste anche in Italia: al Festival delle Scienze di Roma e al Festival della Scienza di Genova ho incontrato un pubblico molto attento e curioso».

7 gennaio 2013

Jean-Pierre Luminet

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