ASSAGGI DI SCIENZA E DI CULTURA

Tiziano.
Il genio e il potere

Fabrizio Biferali,
Editori Laterza

Il Fondaco dei Tedeschi a Venezia è salito, purtroppo, agli onori delle cronache nelle ultime settimane, a causa del progetto del gruppo Benetton di «stravolgere un luogo di altissimo valore» e «trasformarlo in un “megastore di forte impatto simbolico”» – secondo la vigorosa denuncia di Salvatore Settis – «per guardare dall’alto il ponte di Rialto e il Canal Grande. Una “vista mozzafiato”, pazienza se a scapito della legalità e della storia» (Quel centro commerciale che ferisce Venezia, in «La Repubblica», 13 febbraio 2012, pp. 1 e 23). «Il progetto – sostiene l’autorevole storico dell’arte e dell’archeologia classica – prevede non solo l’inserimento di incongrue scale mobili, ma anche la sostituzione del tetto con una terrazza panoramica: l’equivalente, appunto, di una mega-nave piombata nel cuore di Venezia».
Un libro fresco di stampa può aiutarci a capire che cosa fosse il Fondaco dei Tedeschi e quale ruolo abbia ricoperto nella vita della Serenissima. Non si tratta di un volume specifico sull’edificio o di storia dell’architettura, ma di un saggio biografico su Tiziano, opera di Fabrizio Biferali, pubblicato da Laterza: un libro con cui la prestigiosa casa editrice punta a replicare il successo ottenuto con gli analoghi ritratti, scritti da Antonio Forcellino, dedicati ad altri due campioni dell’arte (anch’essi tra i pochissimi a essere universalmente noti con il solo nome di battesimo): Raffaello e Michelangelo.
Bernard Berenson paragonava Tiziano a Shakespeare, definendo il primo «il solo pittore che espresse quasi tutto quello che del Rinascimento poté trovare espressione nel dipingere» (The Italian Painters of the Renaissance, The Phaidon Press, London, II ed., 1953, p. 23)». Dunque, delineare un ritratto completo di Tiziano Vecellio è un’impresa tutt’altro che agevole. Delle difficoltà di «affrontare quel periglioso e vasto oceano che è stato ed è ancora oggi Tiziano» si mostra perfettamente consapevole Fabrizio Biferali fin dall’apertura di Tiziano. Il genio e il potere, dove ricorda l’accostamento operato da Erwin Panofsky tra il celebre aneddoto riguardante l’incontro sulla spiaggia tra Agostino e un bambino – intento a vuotare il mare con un cucchiaio o una conchiglia –, che rivelò al santo l’impossibilità di penetrare il mistero della Trinità, e lo «storico dell’arte che cerca di parlare di Tiziano: neppure lui, infatti, può vuotare l’oceano» (pp. VIII e VII).
L’obiettivo dell’autore è quello di «restituire a Tiziano una fisionomia meno divina e più terrena, un profilo che esca dagli stereotipi romantici e post-romantici dell’artista demiurgo», ricostruendo «il volto e l’opera» di Tiziano attraverso le testimonianze storiche e soprattutto attraverso i suoi dipinti (pp. XIII-XIV). Così, padroneggiando con sicurezza la monumentale bibliografia sull’artista e tenendo presenti le acquisizioni critiche più recenti, delle quali dà ampio conto nelle note, Biferali imbastisce il racconto della straordinaria parabola di Tiziano Vecellio, dalla nascita a Pieve di Cadore da una famiglia di «borghesia di montagna» alla morte avvenuta a Venezia in tardissima età, il 27 agosto 1576, durante un’epidemia di peste. L’autore affronta anche la vexata quaestio della data di nascita dell’artista (che, come è noto, oscilla tra il 1477 e il 1488-1490), propendendo per il 1483-1485, sulla base dell’attribuzione agli anni 1503-1505 della pala di Anversa con Iacopo Pesaro presentato a san Pietro da papa Alessandro VI, che «non rivela ancora l’influenza di Giorgione» e che risulterebbe così la prima opera certa di Tiziano, dipinta quando aveva circa venti anni (p. 7). Qualche anno più tardi, grazie agli affreschi per il Fondaco dei Tedeschi, la vita di Tiziano avrebbe ricevuto una svolta decisiva.
Sorto nel XIII secolo, distrutto da un incendio nel 1505 e finito di ricostruire nel 1508, il Fondaco dei Tedeschi, scrive Biferali utilizzando una citazione di Ennio Concina, «si configurava all’epoca  come “la più cospicua delle strutture destinate al servizio dei traffici internazionali della Serenissima, ad accogliere merci e attività amministrative, ad alloggiare mercanti e ad ospitare transazioni”». Prosegue lo storico dell’arte con parole quanto mai efficaci: «il fondaco può essere considerato un incunabolo della nuova architettura lagunare, in cui la castigata severità e il classicismo di impronta vitruviana – cui daranno poi un fondamentale contributo Iacopo Sansovino e soprattutto Andrea Palladio – diverranno le caratteristiche dominanti fino all’inoltrato Cinquecento» (pp. 25-26). Incaricato insieme al suo maestro Giorgione di realizzare un ciclo a fresco su due facciate dell’edificio, il giovane Tiziano riuscì a sfruttare al meglio l’occasione, rivelandosi un acuto interprete degli interessi della repubblica veneziana durante il conflitto con la Lega di Cambrai. In particolare, sulla facciata della Merceria, sopra l'accesso al fondaco, realizzò un affresco con l’eroina biblica Giuditta che calpesta la testa di Oloferne, che rappresenta allo stesso tempo un’allegoria della Giustizia e di Venezia in chiave antitedesca: l’opera, «ridotta oggi a una sorta di larva pittorica», riscosse grandi consensi al momento dello scoprimento e suscitò lo sconforto di Giorgione, che «stette alcuni giorni in casa come disperato, veggendo che un giovanetto sapeva più di lui», come racconta il contemporaneo Ludovico Dolce (p. 28). Con la raffigurazione dell’invincibile Giuditta-Giustizia-Venezia, conclude Biferali, «Tiziano aveva in un colpo solo dimostrato le sue spiccate doti tecniche e la sua innata propensione a cogliere gli aspetti più drammatici e vivi della realtà, trasfigurando il mito e la favola in attualità», caratteristiche «che ne avrebbero fatto uno degli artisti più richiesti dalle sfarzose corti italiane ed europee» (p. 31).
Così, il Fondaco dei Tedeschi divenne il punto di partenza per un’avventura pittorica ed esistenziale senza eguali; da allora, soppiantando il vecchio Giovanni Bellini, Tiziano fu consacrato come il nuovo pittore ufficiale della Dominante. Il «rapporto simbiotico» tra Tiziano e la Serenissima diventa il filo rosso della densa, accurata e piacevole narrazione condotta da Biferali, che ci restituisce il profilo di un artista impegnato sopra ogni cosa a «celebrare con ogni mezzo a sua disposizione l'immagine di quella che ormai era divenuta la sua città» (p. 88). Divenuto «una sorta di intellettuale organico al complesso sistema di fragili equilibri interni ed esterni creato dalla repubblica di San Marco», spiega l’autore, «Tiziano si configura per quasi un secolo di storia italiana come un efficace veicolo di propaganda di uno tra i più potenti Stati europei del XVI secolo, che della sua smisurata capacità creativa si avvalse con intelligenza, sapendo ricompensarlo con il premio di una solida posizione sociale ed economica e facendolo sentire come uno del luogo» (pp. XI e XIII). Fu questo anche il principale motivo per cui Tiziano non volle mai allontanarsi da Venezia, se non per brevi periodi, e non accettò i pressanti inviti a trasferirsi a Roma, preferendo misurarsi e sfidare a distanza gli altri due geni dell’arte del Cinquecento, il Sanzio e il Buonarroti, impegnati a realizzare capolavori nella città dei papi. Non a caso, si può parlare di «una sorta di marchio di riconoscibilità della maniera di Tiziano», caratterizzata da «una convincente sintesi tra il colorismo caldo della tradizione lombarda e veneta, lo stile potente e drammatico di Michelangelo e quello più sereno e classicheggiante di Raffaello» (p. 59). Che rappresenti una favola mitologica o una scena religiosa, che dipinga un ritratto o una battaglia, Tiziano, secondo Biferali, mostra «uno sguardo lucido e implacabile sull'uomo e sui suoi difetti, sulla violenza e sulle sue inevitabili conseguenze, sul bene e sul male» (p. 34), e le sue opere si distinguono sempre per un realismo quasi assoluto (il suo motto era natura potentior ars) e per una capacità di introspezione psicologica pressoché unica. 
Dalla citata pala di Anversa alla Battaglia di Palazzo Ducale, dall'Assunta alla Pala Pesaro dei Frari, dalle grandi committenze ai ritratti di Stato per i signori italiani – gli Estensi, i Gonzaga, i Della Rovere, i Farnese – e per i grandi sovrani – i dogi, Carlo V ( che nominò Tiziano cavaliere e suo «primer pintor»), Filippo II, papa Paolo III –, fino ai tragici e commoventi autoritratti della «sua fase finale venata di uno straziante pessimismo esistenziale» (p. 188): seguendo il racconto di Biferali attraverso l’analisi dettagliata dei quadri del pittore cadorino, nel confronto con le sue lettere e con le testimonianze dei contemporanei, rivive la figura dell’uomo e dell’artista Tiziano Vecellio, colto nei suoi rapporti familiari (l’affetto per i figli, l’ansia per la prosperità economica), di amicizia (in primis quella per i sodali Pietro Aretino e Iacopo Sansovino) e di inimicizia (un nome per tutti: Tintoretto). Il ritratto che emerge non è sempre piacevole: Tiziano appare duro e senza troppi scrupoli, mosso da «un’ambizione sfrenata» (p. 39), «arrogante e avido di denaro» (p. 210). Ma quegli stessi tratti del suo carattere, messi al servizio di una impareggiabile maestria pittorica, sono anche all’origine di una fortuna che dura ininterrottamente da cinque secoli: per Biferali, il  messaggio di Tiziano «è giunto ai nostri giorni in tutta la sua integrità poiché è un messaggio efficace, incentrato sull’uomo e sulle sue infinite, piccole e grandi debolezze. […] Pur con tutti i suoi pregi e difetti, Tiziano ha infatti cercato sempre di essere un uomo calato nella sua epoca, tentando senza pregiudizi di interpretarne le contraddizioni politiche, sociali, religiose, culturali. I suoi straordinari dipinti riflettono meglio di altri documenti la fitta trama di rapporti umani e professionali intrecciata nell’arco di una lunga e fruttuosa esistenza. Come preziosi specchi della memoria, essi continueranno a riflettere il pittore anche in futuro» (pp. 221-222).

pagine 286, euro 20
Francesco M. Cardarelli

27 febbraio 2012

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