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Bobbio e Garin:
il lungo dialogo
tra due giganti

di Massimo Mastrogregori
Direttore della rivista internazionale «Storiografia»

Il carteggio dei due studiosi, edito impeccabilmente per i tipi di Nino Aragno da Tiziana Provvidera e Oreste Trabucco, si rivela un documento preziosissimo per studiare dal vivo il rapporto tra politica e cultura

Iniziato durante la seconda guerra mondiale – quando erano entrambi trentenni, più o meno – il lungo dialogo tra i coetanei Norberto Bobbio e Eugenio Garin prosegue per i successivi sessant'anni della loro lunghissima vita. E fa in tempo, naturalmente, a diventare tante cose diverse, fino al malinconico scambio delle ultime due lettere di questo straordinario documento, edito impeccabilmente per i tipi di Nino Aragno da Tiziana Provvidera e Oreste Trabucco (i quali firmano, oltre all'asciutto commento, una postilla finale e un analitico studio iniziale). Ultimo scambio malinconico che investe il potere della memoria, non meno della forza dell'oblìo. Bobbio scrive a Garin, facendogli gli auguri per i suoi novant'anni, il 15 maggio 1999: «Sto ripensando a quando ci siamo conosciuti la prima volta. La mia memoria è sempre più annebbiata, trattiene più i ricordi dell'infanzia e dell'adolescenza. Tu, te lo ricordi?» (p. 76). Distrutto per la morte della moglie Maria, avvenuta nel dicembre precedente, Garin lascia cadere l'interrogativo dell'amico: per lui la memoria è piuttosto un tormento: «faccio uno sforzo continuo per tirare avanti, ma non è facile. Il ricordo non aiuta» (p. 77).
Indubbiamente non sono pochi gli interrogativi che suscita la lettura di questo carteggio, composto di una cinquantina di «pezzi» (quindi pochi, una volta sottratte le comunicazioni più operative, o di circostanza). Ma il documento è curato impeccabilmente – starei per dire: edizione esemplare – perché offre al lettore, in tre appendici, parecchi altri testi e osservazioni, tra i quali un inedito preziosissimo, La disfatta, scritto da Bobbio nel marzo 1991, su Cossiga e Gladio: recensioni «incrociate», interventi, interviste che consentono di saltare al di là delle spesso scarne comunicazioni epistolari, capirne la posta in gioco, approfondirne la realtà.
Nella sua natura, il dialogo tra questi due giganti della nostra cultura del XX secolo appare asimmetrico, un po' squilibrato. Intanto, qualcosa trattiene i due al di qua di una vera, aperta, confidente amicizia: non si andrà mai al di là del cognome (caro Bobbio, caro Garin), anche se a un certo punto, come osserva anche Maurizio Torrini nella bella premessa, i corrispondenti passano al tu (quando Garin raggiunge lo status di Bobbio nella carriera universitaria). Ma non è solo questa, iniziale, l'asimmetria che il dialogo fa intravedere. Tutto sembra in effetti partire da Bobbio. Non mancano di fatto iniziative, da parte di Garin, o reciproche corrispondenze, quasi restituzioni di debiti contratti con l'amico. Però a me pare che sia soprattutto Bobbio, fin dall'inizio, la parte attiva nel dialogo. È lui a recensire i moralisti inglesi (1942) e le Cronache di filosofia italiana (1955); è lui che invita Garin a collaborare: alla sua rivista (1949; ma Garin è impegnato col «Giornale critico della filosofia italiana»), alla collana Einaudi (1954; ma Garin è impegnato con Laterza), a una conferenza torinese, parecchio militante, su Gramsci (1967: Garin non ci andrà), al seminario dell'allievo Bovero (1980, niente da fare). È Bobbio che fa avere i suoi libri a Garin (1971, 1974) o che presenta libri di Garin (giugno 1974), o che li loda (la bibliografia di Garin sessantenne, 1969). L'amico sembra assistere alle iniziative di Bobbio da una posizione prudente, cauta: per lo più, ringrazia commosso per l'attenzione tributatagli.
Forse uno scavo più attento della situazione, al di là di ciò che si vede in questi scambi epistolari diretti, restituirebbe un'immagine radicalmente diversa. Però se l'immagine è questa, ha un significato non irrilevante: il filosofo-giurista-scienziato della politica (Bobbio) è attratto, quasi magneticamente, dallo storico (Garin). In un certo senso, si potrebbe leggere l'intero carteggio come spia di un'ammissione, implicita, forse inconsapevole, da parte di Bobbio, della superiorità dell'indagine storica nei riguardi della teoria. E la cosa si complica infinitamente, perché al centro dei rapporti tra i due ci sono Croce e Gentile, la cultura italiana e il fascismo, il rapporto tra politica e cultura.
Si confrontino ad esempio due testi speculari, tra i più impegnativi di questa raccolta: quando Bobbio, nel giugno 1974, presenta a Firenze Intellettuali italiani del XX secolo di Garin, egli espone gli elementi di una controversia teorica (Le colpe dei padri); quando Garin, dieci anni dopo, riflette su Politica e cultura di Bobbio (negli scritti a lui dedicati per i settantacinque anni), invece ricostruisce in modo magistrale un contesto storico. Che sia Garin, poi, ad avere ragione, storicamente, contro Bobbio, sul rapporto tra il fascismo e la cultura italiana, lo dimostra – ironia della sorte – quanto accade con la famosa lettera di Bobbio al Duce, emersa nel 1992. La tesi bobbiana, vagamente paradossale, che il fascismo non ebbe riflessi importanti sulla cultura italiana trova pratica smentita nelle parole supplichevoli del giovane professore di diritto. Trova conferma invece la tesi gariniana che «il fascismo al potere abbia imposto una particolare "curvatura" a tutto ciò che in Italia si andava pensando, progettando, scrivendo in quel tempo» (p. LVIII). Tesi ribadita con forza da Garin, pubblicamente, proprio per contrastare l'attacco rivolto all'amico («Macché scandalo, è un pezzo di storia»: titolo assai azzeccato e parlante).
In quest'asimmetria, e nel suo significato, trova origine la leggera distanza che si percepisce a tratti tra i due, al di sotto di un accordo più volte affermato. In qualche caso Bobbio fa valere un noi, che Garin prudentemente asseconda, anche se vede le cose in modo più complesso, tortuoso, anche ambiguo (per esempio sulla frattura post-1945).
Accennavo all'inizio agli interrogativi di natura più generale che questo bel documento suscita nel lettore. Negli ultimi trent'anni, dopo il 1968 che gioca un ruolo decisivo («amaro», per Bobbio; «amarissimo», per Garin), si moltiplicano in entrambi i corrispondenti le attestazioni d'aver fallito: troppo vergognosa, penosa è la situazione politica, pubblica, in cui si ritrovano a vivere, loro malgrado.
Bellissimo è il sospetto di Bobbio, che significhi qualcosa la fotografia che accompagna, sull'«Unità» del 3 novembre 1984, il discorso di Garin sulla missione del chierico alle celebrazioni bobbiane: «Non ho capito l'allusione (posto che l'illustrazione sia allusiva) del signore visto di spalle con le braccia incrociate dietro la schiena che guarda una panca rotta in un giardino deserto. Se tu l'hai capita, o te l'hanno spiegata, ti prego di farmelo sapere (o dire)» (p. 47). E Garin: «non so proprio quale significato possa avere, e non lo chiedo ai redattori per non costringerli a darmi qualche risposta assurda» (p. 48). A questo punto, comunque, è Garin che segue a distanza l'impegno pubblico di Bobbio (sulla «Stampa», per esempio). Resta però difficile capire quel senso di fallimento così acuto, se si pensa alla gigantesca opera compiuta da entrambi. Si immaginano fallimenti diversi, nella percezione di ciascuno dei due, così come diverse erano state le soluzioni personali, nei diversi momenti, date allo stesso problema, quello dei rapporti tra politica e cultura. Su questo piano dell'azione pubblica, politica diretta, Garin sembra ancora più prudente, incerto, tormentato di Bobbio. Si pensi all'indizio contenuto nella lettera di Garin del 6 luglio 1969: nei giorni del convegno gramsciano di Cagliari, scrive, «io ebbi vivissima un'impressione di scontento e di inquietudine che non riuscivo ad analizzare in modo soddisfacente» (p. 33).
Da questo punto di vista, il carteggio si rivela un documento preziosissimo per studiare dal vivo quel rapporto tra politica e cultura, nella teoria e nella pratica (nella storia): continuamente le parole di Bobbio e di Garin ci spingono al di là di esse, a ulteriori indagini.

31 ottobre 2012


Norberto Bobbio – Eugenio Garin,
«Della stessa leva». Lettere (1942-1999),
a cura di Tiziana Provvidera e Oreste Trabucco,
con una premessa di Maurizio Torrini,
Torino, Nino Aragno Editore, 2011