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Il Melangolo,
ricercare la qualità
e il pareggio di bilancio

Marco Fidora è il Direttore Generale della casa editrice Il Melangolo, piccola ma prestigiosa azienda editoriale nata a Genova nel 1976, specializzata in filosofia.

Quale è il carattere distintivo del Melangolo?
«La ricerca della qualità. Non so se ci riusciamo sempre, ma il nostro obiettivo è quello di realizzare libri di qualità. La casa editrice è nata nella facoltà di Filosofia dell'Università di Genova, dall'incontro di alcuni professori con alcuni studenti. Il nome scelto è quello dell'arancio amaro, un albero ornamentale molto diffuso in Liguria (all'interno della facoltà di Filosofia ci sono due alberi di melangolo); la scelta è anche un omaggio al genovese Eugenio Montale, alla sua Elegia di Pico Farnese, dove si cita il melangolo. Anche se non pubblichiamo poesie, Montale è un richiamo culturale forte per noi liguri. A dire il vero, qualche testo di poesia lo abbiamo pubblicato; quel che è certo è che riceviamo moltissime poesie: di aspiranti poeti ce ne sono tanti, ma la poesia è difficile e quasi invendibile... Pubblichiamo filosofia, saggistica in generale, piccoli testi: abbiamo una collana denominata "Nugae", alla latina "chicche, cosine", piccoli saggi, piccoli racconti... Cerchiamo sempre di fare cose nuove, di scoprire opere minori, soprattutto nel senso delle dimensioni, che spesso non sono meno belle delle opere cosiddette maggiori, ma che i grandi editori trascurano. Non pubblichiamo narrativa, settore difficile e molto rischioso per un piccolo editore come noi. Fortunatamente, i nostri testi sono adottati in ambito universitario, soprattutto nel dipartimento di Filosofia. Abbiamo collane accademiche, come "Università", dove si pubblicano tesi di dottorato o testi di docenti universitari; abbiamo "Opera", dove si pubblicano autori classici della filosofia, come Martin Heidegger (siamo la casa editrice che ha pubblicato più opere di Heidegger in italiano), Piero Martinetti, Hannah Arendt».

Avete pubblicato diverse opere contro il razzismo.
«Sì, è un tema che ci coinvolge molto e su cui siamo molto sensibili. Abbiamo molti titoli di Hans Jonas; mi piace citare anche due libri come Non vi dimenticherò mai, bambini miei di Auschwitz di Denise Holstein o il testo di Donatella Di Cesare contro il negazionismo Se Auschwitz è nulla, che abbiamo pubblicato nel 2012».

Che cosa significa pubblicare libri di cultura nell'attuale congiuntura economica?
«Significa avere molto coraggio e cercare di abbinare la cultura con le possibilità di vendita. Ai piccoli editori non si può chiedere di pubblicare libri "belli" e basta: bisogna tenere conto delle possibilità di vendita, almeno per coprire i costi, anche se non è sempre facile fare previsioni. Oggi, il piccolo editore deve scoprire autori di valore, oppure cercare di pubblicare opere minori di autori noti. Quando un piccolo editore scopre un autore o un filone interessante, arriva sempre il grande editore che dispone di ben altri mezzi. Volevamo pubblicare un libro di un filosofo francese vivente, di cui abbiamo già in catalogo altre opere; abbiamo provato a chiedere i diritti, ma una casa editrice medio-grande ha offerto una cifra tale che ci ha tagliati fuori completamente. A certi livelli non si può competere; il libro in questione, poi, a dire il vero, non è ancora uscito. Ultimamente i grandi editori stanno trascurando la saggistica, a causa della forte diminuzione delle vendite (i dati parlano del 17-20% in meno): oggi, quindi, per noi piccoli editori è forse più facile trovare qualche saggio "buono". Non è consigliabile cercare un autore bravo ma poco noto, perché non è facile "venderlo"; noi, per esempio, abbiamo provato a pubblicare dei libri di filosofi americani di un certo rilievo ma del tutto sconosciuti in Italia: il risultato è stato un completo insuccesso nelle vendite. Da qualche anno abbiamo provato la strada della filosofia popolare, di cui l'attuale nostro giovane Direttore Editoriale, Simone Regazzoni, è uno dei rappresentanti principali: in questo campo, qualche risultato interessante lo abbiamo ottenuto».

Quante persone lavorano nella casa editrice?
«Lavoriamo in tre persone fisse, il resto sono collaboratori o soci. Siamo 19 soci. C'è il socio che ha la tipografia, quello che si occupa della composizione dei testi, e così via. Gli utili non ci sono e non ci sono mai stati, fin dal 1976. Per noi, è già un grande risultato arrivare al pareggio di bilancio».

Nel vostro catalogo sono presenti anche libri digitali?
«No, ancora no, ma siamo pronti per partire. Li faremo, perché quando i libri scolastici saranno prevalentemente elettronici, ci sarà una vera esplosione nel settore: non penso che il libro cartaceo sparirà, ma subirà una flessione notevole».

Finora, però, il settore dei libri elettronici non sembra decollare...
«È vero. Finora alla nostra casa editrice non è pervenuta alcuna richiesta di libri digitali; non si può dire che ciò dipenda dall'età avanzata dei lettori, perché il nostro pubblico è composto anche da molti giovani, alcuni dei quali – li incontro alle fiere e alle manifestazioni – sono preparatissimi e conoscono molto bene gli argomenti che trattiamo».

Perché si legge sempre meno?
«Indubbiamente, il numero dei lettori in Italia è abbastanza esiguo. Noi siamo conosciuti ormai soprattutto come editori di opere di filosofia, di critica filosofica, di saggistica in genere, di classici e di "chicche". Abbiamo un certo numero di lettori fedeli, che ci permette di poter prevedere quante copie venderemo di un determinato libro di filosofia. Non è un numero alto, ma sicuro: tra le 500 e le 1000 copie. I numeri della saggistica sono questi un po' per tutti i piccoli editori. Ci sono poi i grandi successi, come Il concetto di Dio dopo Auschwitz di Hans Jonas, che vende nel tempo diverse migliaia di copie. Ci sono per fortuna i libri adottati nei corsi universitari, anche se oggi, per lo più, gli studenti leggono riassunti, estratti, difficilmente leggono le opere complete. Per settori come la critica letteraria, i numeri sono ancora più bassi. Si vendono sempre più romanzi, il che non è un male, anzi; ma il fatto che la saggistica venda sempre meno è il segno che per i libri di cultura le cose stanno peggiorando. Sappiamo che i bambini leggono molto, poi, a un certo punto, verso i 12-13 anni, smettono. Bisogna capire perché questo avvenga e se ci siano anche delle responsabilità della scuola».

Che cosa si può fare per il futuro del libro, per invertire la tendenza?
«La ricetta non la conosco: ho solo delle speranze. Sicuramente occorre puntare sulla scuola e sulle famiglie. Inoltre, bisognerebbe che si parlasse più di libri in televisione, e non in modo serioso. Gli esempi ci sono: Per un pugno di libri, la trasmissione di Augias, Che tempo che fa. Noi continueremo a fare libri in un certo modo, finché le forze e le finanze ce lo consentiranno. E non siamo gli unici, perché in Italia ci sono tanti buoni, ottimi editori».

A suo parere, per incentivare la vendita dei libri, possono essere utili interventi legislativi o iniziative governative ad hoc?
«Non credo che il Governo possa intervenire in modo diretto e mirato per far vendere più libri. Il discorso di promozione della cultura è molto più ampio e parte da lontano. Inizia finanziando le iniziative della cultura e dell'arte in genere: la scuola, la ricerca, l'università, il teatro, la musica, ecc. Occorre certamente evitare gli sprechi e utilizzare bene le poche risorse disponibili, ma non si possono fare sempre nuovi tagli».

Che bilancio si può trarre dall'edizione 2012 della Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria?
«Il bilancio è stato buono anche quest'anno, perché vengono sempre molte persone e la Fiera accende un forte interesse. Nei momenti di punta c'è stata una folla strabocchevole. Certo, quest'anno molti visitatori, anche forti lettori, hanno ridotto notevolmente l'acquisto dei libri, per motivi esclusivamente economici».

Qualcuno sostiene che «con la cultura non si mangia»...
«La cultura non è solo importante per lo spirito, ma può essere importantissima anche per l'economia, specie per un Paese come l'Italia, con la sua memoria storica, unica al mondo. La cultura produce attività. Di recente, la principale biblioteca di Genova ci ha chiesto un libro in omaggio, perché non ha fondi per acquistare libri nuovi. Questo è scandaloso, come lo sono i tagli alla scuola e alla ricerca. La cultura produce ricchezza, e non solo quella interiore».

Francesco M. Cardarelli
21 dicembre 2012





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